“Brodskij” di Stefano Strazzabosco

Brodskij. Ediz. italiana e spagnola

“Io non sono un fantastico, nemmeno un inventivo, e nemmeno un realista, ma sono un visionario di cose vere”. Questa frase di Guido Piovene descrive bene lo sguardo sul mondo del poeta vicentino Stefano Strazzabosco. Nei suoi versi, la realtà, pur mantenendo una nitida concretezza, viene costantemente fatta fermentare da una dimensione visionaria e notturna. Non fa eccezione il suo ultimo libro, intitolato “Brodskij” (Il Ponte del Sale, pagg. 135) nel quale sono confluiti, dopo un attento lavoro di selezione, testi scritti negli ultimi dieci anni, che sono stati suddivisi in sei sezioni, a rappresentare le facce di una sorta di lanterna magica e negli spigoli, come cerniere, sono state inserite delle brevi prose.

Per Strazzabosco la realtà va ben oltre le rigide coordinate dentro cui la vorremmo ingabbiare. In fondo, anche ciò che immaginiamo o ricordiamo esiste, è reale. Lo dimostra in modo evidente un disegno del colombiano Mateo Pizarro incluso nella raccolta, in cui si vede il corpo di un cervo il cui collo fa da tronco ad un albero che si ramifica in più direzioni. Proprio per questo tutta la poesia di Strazzabosco mira a sabotare il principio di non contraddizione aristotelico che vuole dare alla realtà un aspetto logico e coerente che essa non possiede. Ecco quindi l’uso insistito di figure retoriche quali l’ossimoro e l’antitesi e la continua perturbazione della stabilità della realtà e dell’io. Un io spesso sdoppiato, scisso tra radicamento e sradicamento, che richiama anche la biografia del poeta che per metà anno risiede a Vicenza mentre l’altra metà a Città del Messico.

Un altro aspetto che emerge è la volontà di fare della poesia un luogo di condivisione con gli altri. Se da un lato quest’ultima raccolta sintetizza in modo mirabile le varie anime del poeta, in particolare quella più intima e quella più risentita e civile (si veda a tal proposito il bellissimo e sdegnato “Planh per Pier Paolo Pasolini”)  dall’altro si nota, rispetto al passato, la ricerca di uno stile meno oscuro, più comunicativo e diretto, e il recupero della tradizione sia a livello metrico, attraverso l’utilizzo sistematico dell’endecasillabo e del settenario, sia a livello fonico facendo uso a piene mani di molte figure di suono, la rima su tutte, che esaltano la musicalità del verso senza che questa però sia mai disgiunta dal significato.

Il riferimento a Brodskij nel titolo vuole appunto indicare la volontà di rifarsi ad un modello alto e ad una poesia che, attraverso un minuzioso lavoro di cesellamento, abbia una compiutezza tale da renderla memorabile. E la sfida è senz’altro vinta in quanto in quest’opera Strazzabosco riesce a unire con grande maestria misura e intensità, leggerezza e profondità, omaggio alla tradizione e freschezza immaginifica.

Ma “Brodskij” è anche una poesia della raccolta nella quale il poeta allude ad uno spettacolo visto al teatro Olimpico di Vicenza: «Stasera ho visto Brodskij, a teatro: / guardava lo spettacolo e ogni tanto / sussurrava anapesti / all’orecchio di un topo. / Terminata la recita / mi sono alzato anch’io; poco dopo / hanno spento le luci / e il teatro era vuoto».  L’idea del teatro vuoto viene ripresa anche nella copertina del libro in cui è riprodotto “Gradinate e scena del Teatro Vitruviano” di Andrea Palladio. Il teatro a cui fa riferimento l’autore è sia quello visibile, ovvero il grande teatro del mondo e della storia, popolato da una pluralità di voci che danno ai testi un carattere fortemente polifonico, ma anche quello invisibile, legato all’interiorità e alla presenza dei morti. Il libro infatti è pervaso da una forte carica luttuosa, molte poesie sono dedicate a persone che non ci sono più e che come fantasmi abitano la memoria del poeta. Nello stesso tempo però questa dimensione drammatica è stemperata da un’idea di ciclicità e di rinascita che illumina anche i momenti più cupi. Non è un caso che la raccolta finisca con una prosa piena di dolcezza, in cui una bambina si rivolge all’oceano, che non ha il coraggio di farsi accarezzare, dicendogli di non aver paura.

(articolo uscito su Poesia)